ECCO IL TESTO INTEGRALE DELLA MISSIVA.
Sabato 7 aprile 2012
Don Antonio Romano, Sacerdote e Missionario in Congo (Africa).
«Prestiamo attenzione gli uni agli altri,
per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone»
(Eb. 10,24)
Mi ritrovo in questo momento a Bukavu, perché ho accompagnato papà, che è rientrato in Italia. Proprio in queste ore, mentre vi scrivo, ha rimesso piede nel nostro bel paese. Volevo mandarvi una lettera per sua mano, ma non sono riuscito a scrivere. Un po’ perché non c’è stato tempo e un po’ perché sono pigro in quanto a scrivere. Non mi è mai piaciuto. Forse, è perché non so scrivere.
E’ domenica e siamo alle porte della Settimana Santa. Questo mi spinge a riflettere molto sulla lettera del Santo Padre per la Quaresima. In effetti lo spunto biblico che ha scelto, tratto dalla lettera agli Ebrei è pungente e porta a riflettere tanto sul senso della “Carità”. Quante volte ci domandiamo in comunità: quale è la vera Carità? Come incarnarla?
Troppo spesso la gente viene a rimproverarci che non siamo caritatevoli come i Padri del passato, perché non diamo tutto, come loro facevano. Durante e dopo la guerra i Padri sono stati di una generosità sconfinata, sicuramente. Erano momenti difficili ed erano mossi da grande spirito di compassione per questa gente che non aveva niente, se non la paura di essere uccisa, e, quindi, vivevano giorno per giorno senza pensare al loro futuro, incerto e pieno di sofferenza e terrore.
Ora, grazie a Dio, le cose non sono così. Certo c’è sempre la paura di un’altra guerra, visto che, anche a livello politico, le cose non sono sempre chiare. I fatti di questi ultimi giorni anche in Mali ci fanno riflettere sulla continua instabilità e, poco sicura, politica africana. In effetti, quello che manca realmente in Africa è la figura di un vero leader.
In questi giorni sto leggendo un romanzo di Eugenio Corti, dal titolo “Il cavallo rosso”. E’ un romanzo che parla della seconda guerra mondiale, del terrore del nazismo e del comunismo e del subito dopo guerra in Italia. La cosa che più mi ha sorpreso di questo romanzo è, non solo la crudeltà del nazismo e del comunismo, molto ben descritta, ma la capacità di certi giovani militari italiani, cresciuti in oratorio, che hanno saputo combattere la detta crudeltà con l’amore di Cristo, ricevuto durante la loro formazione in oratorio e soprattutto in casa. Questi stessi giovani dopo la guerra si sono impegnati perché al potere ci fossero i cattolici. Quei cattolici cresciuti in oratorio e all’Azione Cattolica. Quei cattolici che avevano un vero e unico leader: Cristo crocifisso e risorto.
Nel romanzo è molto forte il senso di “attenzione” verso l’altro, così come l’autore della lettera agli Ebrei ci invita a fare e come il Santo Padre ha ben spiegato e richiamato: attenzione come senso di responsabilità verso l’altro. Quanto è difficile spesso essere attenti all’altro, soprattutto, quando questi sono tanti. A volte e, anche troppo spesso, c’è chi cerca di approfittare di te e della tua bontà, e questo ti ferisce e ti porta a ritirarti. Ma poi ci si fa coraggio e ci si rimette in marcia, sapendo che l’altro non può vivere senza di me, come io non posso senza di lui. Siamo veramente stati creati perché ci amassimo e ci aiutassimo a vivere gli uni gli altri.
Il Vangelo di oggi ci sprona ancora di più a riflettere sulla necessità di attenzione verso l’altro. I greci vanno da Filippo perché desiderano vedere Gesù. Questo è il desiderio di ogni uomo: vedere Dio, sentirlo in sé stessi e negli altri, cogliere la sua presenza e il suo amore. Anche qui tra i congolesi c’è questo grande desiderio di vedere Dio. Ed è compito nostro farglielo conoscere. E’ nostro dovere condurli a Lui, perché anche per loro sia il loro vero e unico leader. Ma non dimentichiamo che Gesù ha risposto con la parabola del chicco di grano, che, caduto in terra, se non muore rimane solo. Questo è il nostro compito di cristiani: morire in noi stessi, perché il seme, che è in noi sin dalle origini, porti frutto e lo porti in abbondanza, secondo la volontà di Dio. E’ Cristo che deve essere presentato e non noi stessi o le nostre idee. Se non moriamo a noi stessi rimaniamo soli e senza frutto.
Quello che più spaventa, ovviamente, è questo morire, cioè questo mettere al centro della nostra vita Cristo e i fratelli. Purtroppo, spesso anche noi, come il Papa ha richiamato nel suo messaggio, ci dimostriamo indifferenti alla sorte dei fratelli: “l’indifferenza, il disinteresse, che nascono dall’egoismo, mascherato da una parvenza di rispetto per la «sfera privata»”. Quanto risulta difficile tante volte essere autentici autori di carità.
“L’attenzione all’altro comporta desiderare per lui o per lei il bene, sotto tutti gli aspetti: fisico, morale e spirituale. La cultura contemporanea sembra aver smarrito il senso del bene e del male, mentre occorre ribadire con forza che il bene esiste e vince, perché Dio è «buono e fa il bene» (Sal 119,68)”. Che cos’è il bene e che cos’è il male?. Questa è la domanda che ci si pone continuamente. Credo di poter affermare che la differenza del bene e del male è inscritta in ogni uomo, e che la sua capacità di scegliere l’uno per evitare l’altro è frutto degli insegnamenti, che si ricevono dall’infanzia. Ecco, dunque, che la nostra prima attenzione deve essere verso i più piccoli e giovani. E’ solo con una sana gioventù che possiamo cambiare le nostre sorti e quelle del mondo intero, senza dimenticare che il nostro unico e solo leader è Cristo Crocifisso e Risorto.
Ecco il motivo per cui il Santo Padre dice che “Il «prestare attenzione» al fratello comprende altresì la premura per il suo bene spirituale”. Quindi non si può escludere un’educazione spirituale se si vuole una buona educazione umana e sociale. Il bene inscritto nel nostro cuore può crescere e portare frutto solo se si arriva a conoscerne e riconoscerne il suo autore: Cristo Gesù.
E’ vero che nella società di oggi diventa sempre più difficile proporre un’ educazione globale che parta dalla vita spirituale, e il rischio è di farci prendere dallo scoraggiamento e fare come i servi della “parabola del grano e della zizzania”, i quali chiedono al padrone che vadano a sradicare la zizzania. Ma il padrone è chiaro: “lasciate che crescano assieme, perché non accada, che, per togliere l’una, sradichiate anche l’altra”. Questo è, dunque, il nostro compito di cristiani ed evangelizzatori: aiutare i nostri giovani ad essere grano buono in mezzo alla zizzania, senza scoraggiarsi, ma sicuri che il frutto sarà abbondante e saporito.
Che la Vergine Santa ascolti il grido e la supplica dei suoi figli e interceda per essi perché sappiano ogni giorno confidare nel loro leader e seguirlo fin sulla strada del Calvario, dove porteranno a compimento il Bene in loro inscritto per meritare il premio promesso da Cristo per coloro che gli saranno fedeli.
Buona Pasqua!
Don Antonio Romano, Sacerdote e Missionario in Congo (Africa).