Pubblichiamo la recensione dell’Avvocato Alfonso Liguori.
Lunedì 17 dicembre 2018
Avv. Alfonso Liguori
MERCATO S. SEVERINO. L’ottimo libro di Nicola Grimaldi, autore Sanseverinese, – per i tipi della casa editrice Sanseverinese Paguro – Charles Maurice de Talleyrand. Tra la nuova Europa e il Ducato di Benevento, – si fa leggere soprattutto perché inquadra con acume il tratto umano e politico del celebre personaggio francese. L’uomo Talleyrand è collocato nel contesto storico sette-ottocentesco europeo, ben descritto dall’autore, con particolare riferimento alla Rivoluzione francese, al successivo Impero napoleonico, fino alla Restaurazione segnata dal Congresso di Vienna del 1815; e con un’attenzione speciale alle vicende del Ducato di Benevento.
Con uno stile gradevole, quasi romanzato e aneddotico – e tuttavia sensibile alle grandiose dinamiche politiche di quel periodo –, Grimaldi fornisce in primis un inedito e pregevole quadro umano di Talleyrand: l’infermità, ma anche la spiccate doti culturali del personaggio. Poliedrico nelle sue abilità, intriso di una nobiltà radicata nel tempo; appartenente sia al mondo ecclesiastico che a quello ultra-secolare della politique politicienne; Talleyrand, quasi come un portabandiera della Francia profonda – una sorta di deep state ante litteram –, sopravvisse con arguzia diplomatica, e gran saggezza politica, alle tempestose stagioni dell’epoca in cui pure abitò da protagonista. Emerge quindi, dal libro di Grimaldi, una figura complessa e dalle molte sfaccettature.
Basti pensare che il “vescovo di Autun” compartecipò alla stesura della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 – a lui si deve in particolare l’art. VI –; e alla redazione della Costituzione di Francia del 1791; in ciò mostrando una paradossale sensibilità liberale e “rivoluzionaria”. Lo stesso personaggio in grado, poi, di rappresentare la Francia, con dignità, al Congresso di Vienna dopo la sconfitta napoleonica e, quindi, di trattare le sorti del “suo” Ducato di Benevento.
Senza dubbio caratterizzato da furbizia e avidità, capace di un’arte politica machiavellica, Talleyrand rimase comunque fedele all’antico ruolo del governante saggio, corroborando forse più il principio della ragion di stato (si pensi a Botero), che quello guicciardiniano del particulare; ovvero, pragmaticamente, seguendo entrambi questi princìpi, a seconda delle questioni da affrontare e risolvere. Discutibile se giudicato dal lato morale, – in realtà Talleyrand va apprezzato secondo le logiche del politico e, soprattutto, alla luce del suo peculiare radicamento socio-culturale. Certo, Talleyrand fu attento al proprio personale tornaconto, ma in ogni caso si rivelò sempre dedito, politicamente, agli interessi della nazione francese.
Talleyrand, in definitiva, fu soprattutto un politico; come vi furono politici e classi dirigenti pubbliche succedutisi in Occidente – con le alterne e burrascose vicende degli stati nazionali –, almeno fino al tardo Novecento. Governi e dirigenti vi sono ancora, ma, sebbene in un contesto di democrazia formale, appaiono in netto declino, nella misura in cui la politica stessa si subordina chiaramente all’economia. Volendo guardare a Talleyrand con i parametri dell’attualità storica, ne potrebbe forse conseguire una paradossale nostalgia dei tempi in cui visse il personaggio francese. Oggi infatti, nella vigente temperie postmoderna, le oligarchie dominanti non hanno nulla di ieratico, e ben poco di “politico”; forse al momento difficilmente potrebbe esservi un Talleyrand. Sembra che oggi i ceti dirigenti, in quello che è stato definito un nuovo Impero – e comunque nell’arena del capitalismo globale –, siano più affini culturalmente alle corporations multinazionali e finanziarie che all’idea stessa di politica; siano, in sostanza, più inclini a massimizzare il potere del capitale privato che a badare, eticamente, a un possibile “bene comune”, nelle sue varie e possibili declinazioni. Se all’epoca di Talleyrand fu scritta la Dichiarazione dell’89, oggi il “partito di Davos” e le élites dominanti promuovono una “costituzione globale” chiaramente neo-aristocratica, e nettamente favorevole alla globalizzazione capitalistica. E se nell’Europa sette-ottocentesca proliferavano idealità e valori consistenti in un possibile pluralismo politico, oggi prevale il pensiero unico neo-liberale, corroborato peraltro dalle nuove “fabbriche” del consenso propagandistico.
Alcuni osservatori non escludono, anzi auspicano, che al governo dei singoli stati-nazione – magari di quelli più grandi e geo-politicamente determinanti –, possano esservi dirigenti politici ancora attenti all’interesse generale. E in questo caso sarebbe ineludibile una nuova “lotta di classe”, affinché i popoli rinnovino le istituzioni, affermando inedite leadership all’altezza dell’arduo compito. Altri studiosi, con un po’ di ottimismo, non escludono che le masse, le moltitudini possano attraversare (e superare) l’Impero, per dar vita finalmente ad un’economia altra, ad una nuova civiltà, magari antropologicamente migliore. Ma la tendenza dominante è senza dubbio quella del capitalismo globale.
All’ombra del capitale postmoderno soggiace quindi una politica che è, in gran parte, corrotta; ma non tanto, banalmente, per la commissione di reati. Oggi la politica è corrotta, aristotelicamente, perché subordina il concetto possibilmente universale dello stato – o comunque della “comunità” – al particolarismo monetario dell’economia mercantile.
Pur bisogna avere fiducia in una evoluzione positiva delle vicende politiche contemporanee, ma ciò non esime, ci sembra, da un doveroso spirito critico.
In definitiva, per tornare al libro di Grimaldi, nell’eventuale confronto tra le algide tecnocrazie neoliberali, oggi predominanti su scala globale, e Talleyrand, questi sembrerebbe quasi un gigante, davvero.
A miglior ragione si consiglia, dunque, la lettura del libro di Nicola Grimaldi: perché alla comprensione del passato si deve una più realistica analisi del nostro presente storico.
Alfonso Liguori