Lo sostiene l’Architetto Giuseppe Pizzo, nel suo libro “Il palazzo albertiano del Principe Sanseverino a Mercato”.
Mercoledì 20 maggio 2015
MERCATO S.SEVERINO. L’architetto Giuseppe Pizzo di Mercato S.Severino, nel suo ibro “Il palazzo albertiano del Principe Sanseverino a Mercato”, collegandosi alla pubblicazione di Margaret Bicco, “Carmine Calvanese imprenditore edile e regio ingegnere del Regno di Napoli”, sostiene che l’antico Comune non sia di stile vanvitelliano, ma albertiano. Ecco le tesi di Pizzo, frutto di un’attenta ricerca.
ARCH. GIUSEPPE PIZZO
Nel 1775, l’Ordine dei Predicatori, dovendo restaurare il Convento di S.Giovanni in Parco, conferì al “mastro fabbricatore” Carmine Calvanese del Casale di Lanzara, l’incarico di eseguire i lavori, secondo la direzione dell’ingegnere Michelangelo Arinelli di Napoli. Le opere riguardano gli interventi di ristrutturazione dell’intero convento e della costruzione di un dormitorio. Gli studiosi nel tempo hanno pensato che l’intervento di demolizione e ricostruzione del dormitorio dalle fondazioni al tetto, abbia riguardato il corpo della facciata principale con il suo disegno (contiene elementi architettonici classici) da ricondurre alla scuola vanvitelliana. Nella dettagliata stima dei prezzi, non sono indicate le voci di elementi importanti quali “le colonne a doppia altezza in tufo e mattoni in cotto” della facciata principale, e del “tetto in legno e tegole in cotto”. La loro assenza nell’elenco fa pensare che l’intervento di demolizione e ricostruzione del dormitorio abbia interessato il corpo interno. Ad avvalorare tale ipotesi, è l’altro appalto che i Padri concedono allo scalpellino Carlo Calvanese (1775), sia per la realizzazione della zoccolatura della facciata del convento esistente, sia per l’abbellimento che per il consolidamento e durata dell’edificio. I lavori di Carlo hanno interessato la facciata principale già esistente e il rivestimento del nuovo corpo realizzato. Tutto ciò porta a dire che l’intervento settecentesco non ha modificato sostanzialmente l’intero edificio, conservando il disegno originale rinascimentale (1466), e che l’artefice dei lavori settecenteschi non è Vanvitelli, ma l’ingegnere Arinelli. Con il mio libro, ho evidenziato che l’opera possa essere stata costruita così come è attualmente direttamente dal grande architetto rinascimentale Leon Battista Alberti (è a Napoli nel 1465) o da qualche suo allievo. Il palazzo Sanseverino presenta caratteristiche formali che rimandano al mondo romano e a diverse fonti antiche, a cui Alberti ha convogliato la sua creatività nella risoluzione di problematiche progettuali nelle sue costruzioni: la facciata presenta una serie di motivi chiari e distinti, dal significato e dalla funzione assolutamente inequivoci, paraste, colonne, portale ionico, finestre a fasce regolari, arconi, basamento e cornice sommitale. L’intera facciata è ritmata da lesene al primo livello che si trasformano in colonne al secondo; l’ordine superiore a doppia altezza (ordine gigante) presenta un colonnato di otto colonne, a ornamento dei vani balconi e finestre, con le caratteristiche del “vano finto” e nel rispetto delle dimensioni e proporzioni della “facciata con otto colonne” albertiana. Le due facciate interne al quadriportico sono anch’esse di tipo ritmate e ripartite da paraste a doppia altezza nel secondo livello e arcate su pilastri quadrati del primo livello; il secondo livello della facciata sud (a doppia altezza), con due finestre quadrangolari sovrapposte è identico alla campata superiore della Domus Nova del Fancelli; la campata sud, al secondo livello ( a doppia altezza) con una finestra quadrangolare ed una tonda sovrapposta è simile alla campata del disegno della “Casa Regia” del Filarete (anch’egli molto vicino alle teorie architettoniche albertiane). La facciata di palazzo Sanseverino, con le colonne e le paraste, presenta, negli spigoli e nei collegamenti, sia il sistema “binato” che il sistema a “doppia parasta” albertiano. Il sistema “binato” composto da colonna e pilastro, indicante il doppio spessore di muro, introdotto nell’angolo laterale della facciata di Santa Maria Novella a Firenze realizzata dall’Alberti, è presente anche nella facciata del palazzo, nell’ordine superiore, nel punto di incontro del colonnato centrale e le torri con arconi. Il sistema “a doppia parasta”, disposto nello spessore del doppio muro dell’atrio della chiesa di Santa Maria Novella, è presente nella facciata laterale del palazzo, che al doppio muro della facciata principale (vano finto e muro) corrisponde a lato la coppia di paraste, sui due livelli. Sono segni di un linguaggio nuovo, unico e personale, riportati nei suoi dieci testi del De re aedificatoria, introdotti nelle sue opere architettoniche in tutta Italia e adottate da altri architetti dell’epoca (Fancelli, Filarete ecc.) e nei secoli successivi (Palladio). Perché il convento dei Padri Domenicani presenta una tipologia architettonica molto lontana dall’architettura semplice e umile delle facciate conventuali, tanto da essere collegata alla Reggia di Caserta? Dalla platea del 1466 si rileva che Roberto Sanseverino, per adempiere alla volontà paterna di costruire un convento a Mercato, cede il “suo palazzo” ai Padri Domenicani. Ciò fa pensare che quella facciata unica, con zoccolatura in pietra, con lesene, colonne a doppia altezza e cornicione sommitale, sia la facciata di un palazzo, il palazzo del Conte Giovanni, della moglie Giovanna e del Principe di Salerno Roberto Sanseverino e non di un convento; il palazzo nasce, quindi, come Palazzo di Città del Conte o Principe e non di Convento dei Padri Domenicani. Studiando gli affreschi nel cappellone del SS.Rosario della chiesa di S.Giovanni in Parco, annessa al convento, nell’ultima lunetta a destra, c’è una scena allegorica: a sinistra, due figure, una con le vesti dell’epoca (Giovanni Sanseverino) è abbracciata da S.Domenico, al centro un angelo, che, su indicazione del Santo, porge una piramide all’altra figura che costruisce con la cazzuola il palazzo in cielo. L’edificio posto nella parte alta della lunetta, tra le nuvole, è raffigurato con una facciata schematizzata simile a quella costruita. Si tratta della raffigurazione della volontà di Giovanni Sanseverino di edificare un convento all’Ordine di S.Domenico, con Roberto che dona il suo palazzo da trasformare in convento. L’opera, affrescata tra la fine del ‘400 e il ‘500, con la raffigurazione del palazzo costruito, dimostra che il palazzo con quella facciata è antecedente al 1775, pertanto non è vanvitelliano. Il palazzo Sanseverino, sviluppando l’ipotesi di opera costruita intorno al 1450, potrebbe considerarsi il palazzo del Principe albertiano, con tutte le caratteristiche indicate nel “De re aedificaria” di Leon Battista Alberti.