Ne parla il Prof.Emilio Esposito.
Domenica 18 ottobre 2015
PROF.EMILIO ESPOSITO
Abstract professionale:
Albo dei Formatori Professionista n. 203 A.I.F ( Associazione Italiana Formatori) Formatore accreditato FOR.Med ( Area delle Professioni Sociali).Counselor Sistemico Relazionale Familiare iscritto al (C.N.C.P.)
Componente Società Italiana di Psicologia della Religione ( Socio)
Giornalista pubblicista
A cura del Prof. Emilio Esposito Teologo- Docente di Religione liceo scientifico/ e sezione Carceraria/ Formatore Area delle Professioni Sociali/ Formed – VdS C.R.I. / Consulente per il Terzo Settore (Welfare) /Componente Centro Studi e Osservatorio Permanente sul Disagio Giovanile Comune di Mercato S. Severino. Servitore Insegnante Scuola Alcologica Territoriale – AICAT/ARCAT/APCAT/ Volontario Ambulatorio Dipendenze ASL Sa distretto 67-/ Responsabile Sportello Sociale C.R.I. (Delegato ASA ( Attività Sociali e Inclusione Sociale). Esperto in Biodiscipline e Bioenergetica e Logoterapia / Docente Invitato UTE/ Università per la Terza Età.
Cos’ è lo Yoga
Fonte/Bibliografia : Edizioni Mediterranee ( 2003)
Collana: Yoga, zen, meditazione
Praticanti di yoga di differenti scuole e tradizioni convengono su alcuni assunti di base: lo yoga non è ginnastica; non è espressione di alcuna fede religiosa; è una scienza finalizzata al «ben-essere» dell’uomo, nel senso più profondo, e alla presa di coscienza della propria natura fisica, energetica e spirituale; non si pratica individualmente, ma, come qualsiasi cammino spirituale, si compie sotto una direzione spirituale, cioè la guida di un insegnante di esperienza.
Certamente non si può definire lo yoga in poche righe. Come metodo, o tecnologia del sé, è adattato alle molteplici situazioni nelle quali è utilizzato. Il termine stesso deriva dalla radice sanscrita yuj che significa «unione» o «vincolo», dal cui deriva anche il termine «giogo». Indica così il congiungimento del corpo, della mente e dell’anima con il divino. Colui che pratica il cammino dello yoga è chiamato yogi o yogin (le donne yogini).
Lo yoga si è evoluto nel corso di migliaia di anni. Oggi ne esistono diverse forme: il più conosciuto è Panchanga yoga, che si suddivide in Hatha yoga, Raja yoga, Karma yoga, Gnana yoga, Bhakti yoga. Anche se diversi, questi sentieri portano tutti all’unione. Rajayoga è conosciuto come il «re» dello yoga. È il più noto dei sistemi, codificato nei 196 aforismi dello yoga (yogasutra), ed è attribuito a Patanjali, grammatico indiano vissuto tra il II secolo a.C. al V secolo d.C.
Raja yoga è diviso in otto stadi:
1. Yama: vivere seguendo le regole di morale verso se stessi e verso gli altri.
Esse sono: ahimsa (non violenza), satya (non allontanamento dalla verità), asteya (non essere avidi e non rubare), brahmacharya (seguire la via della virtù), aparigraha (praticare il distacco e rinunciare al possesso dei propri beni).
2. Niyama: seguire le regole di autopurificazione. Esse sono: saucha (purezza, di corpo, mente e anima nella vita quotidiana), santosha (contentezza: nella buona e cattiva sorte), tapas (pratica ascetica o spirituale), swadhyaya (autostabilità, entrare all’interno di se stessi meditando, recitando mantra o leggendo testi sacri), isvara pranidhana (dedizione a Dio, cioè comprendere la vita come un atto sacro e dedicare ogni cosa interamente a Dio).
3. Asana: posture fisiche che controllano e tonificano i muscoli e i nervi, migliorando la stabilità e la salute, rendendo il corpo un adeguato veicolo per lo spirito.
4. Pranayama: respirazione controllata. Eseguita durante un’asana, purifica e rafforza il sistema respiratorio e nervoso.
5. Pratyahara: ritiro dei sensi verso l’interno. Eseguita insieme con asana e pranayama, porta insieme la stabilità del corpo e dei sensi.
6. Dharana: concentrazione della mente. Comprende asana, pranayama e pratyahara.
La tecnica consiste nel fissare i pensieri e le emozioni su un soggetto: una luce, un simbolo mistico o un’immagine sacra.
7. Dhyana: meditazione. Lo stato di meditazione avviene in asana, pranayama, pratyahara e dharana, dove i pensieri e le emozioni vengono annullati. La mente è senza manifestazioni, l’anima resta nel proprio sé, riposando profondamente. Dalla traslitterazione della parola dhyana derivano i termini chan, in cinese e zen, in giapponese.
8. Samadhi: stato di beatitudine. È il risultato della meditazione: si entra nel silenzio profondo e si sperimenta lo stato d’estasi.