ARCIDIOCESI DI SALERNO. L'ARCIVESCOVO, S.E. MONSIGNOR LUIGI MORETTI, PORGE GLI AUGURI PER IL SANTO NATALE AI FEDELI SALERNITANI.

Pubblichiamo la lettera dell’Arcivescovo, inviata, idealmente, ad ogni Fedele.
 
 
Giovedì 6 dicembre 201
 
ARCIDIOCESI DI SALERNO-CAMPAGNA-ACERNO.“Natale è un tempo senza calendario, che si insedia nella vita di tutti: uomini e cose. Ha segnato l’inizio di un rinnovamento, che non ha altro riscontro nella storia dell’umanità, ha segnato la creazione di un tempo nuovo e di una legge nuova.” (Luigi Moretti, lettera per il Natale 2012).
“È Natale: si rinnovi la speranza!”: è la lettera con la quale l’arcivescovo Luigi Moretti vuole entrare con discrezione nelle nostre case, sedendosi, innanzi all’ideale camino, per intrattenersi a dialogare con ognuno di noi.
Il messaggio, il terzo dal suo arrivo nell’ormai sua Arcidiocesi, vuole essere il prosieguo di quel colloquio iniziato alla luce del Natale del 2010, e, nello stesso tempo, vuole manifestare le preoccupazioni di un Vescovo per la sua gente, in questi momenti di crisi, offrendo a ciascuno una certezza: Gesù Cristo, “che nasce ancora e sempre nei nostri cuori, nel grembo della Madre Chiesa, sotto lo sguardo amorevole di Maria”.
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ECCO, DI SEGUITO, LA LETTERA DELL’ARCIVESCOVO MORETTI, INVIATA AI FEDELI DELL’ ARCIDIOCESI DI SALERNO-CAMPAGNA-ACERNO:
Carissimi amici,
la mia lettera in occasione del Natale è un appuntamento,
che, ormai, è già diventato tradizione. Tuttavia, non vorrei che
fosse percepita da voi tutti come una formalità. Piuttosto, è per
me l’occasione di entrare in casa vostra come un amico, che
viene a scambiare gli auguri. Di più. È il desiderio di un padre,
che desidera incontrare i suoi figli.
Vorrei poter entrare in ogni casa, bussare a tutte le porte,
scaldarmi ad ogni camino, soprattutto stringere tutte le mani
ed ascoltare ciascuno di voi; e dirvi la gioia di condividere la
fede proprio lì, nella famiglia, dove ognuno di noi ha cominciato
a conoscere Gesù, ad amarlo e a stupirsi dell’umile nascita del
Figlio di Dio.
Quell’evento, così grande, che è accaduto in un luogo così
sperduto ed insignificante, per le coordinate della storia, ormai
è patrimonio dell’umanità, supera i confini dello spazio e del
tempo. La sua luce investe moltitudini di ogni razza e di ogni religione. Quel Dio, che nasce sulla terra, in realtà rinasce in tutti
gli uomini, alimentando in essi la speranza della pace e della
fratellanza.
Natale è un tempo senza calendario, che si insedia nella vita
di tutti: uomini e cose. Ha segnato l’inizio di un rinnovamento,
che non ha altro riscontro nella storia dell’umanità; ha segnato
la creazione di un tempo nuovo e di una legge nuova.
È un nuovo inizio perché – da quella notte in cui a Betlemme
si udì il primo vagito di Gesù Bambino e l’osanna degli Angeli –
tutto è diventato diverso, e niente è stato più come prima. Un
grande punto e a capo nella vita del mondo!. È così da oltre due
millenni, ma le epoche valgono giorni, o anche ore e minuti al
cospetto di quell’evento, che non conosce tramonto.
Per noi cristiani il Natale è soprattutto un incontro. L’Avvento
ci conduce liturgicamente alle soglie e poi al varco della Notte
Santa; ma più che andare nella direzione di un tempo – seppure
nuovo, seppure grande – noi siamo diretti verso un incontro:
l’incontro con una Persona, il Dio fatto uomo, l’inviato dal Padre per salvare il genere umano e portare all’uomo il comandamento
nuovo dell’amore.
Questo incontro, avvenuto storicamente una volta per
sempre, è reso vivo, sacramentalmente, quotidianamente, nella
Chiesa e nei singoli fedeli, mediante l’Eucaristia.
Il Natale, con una forza dolce e suggestiva, riassume e
ricapitola in sé ogni momento di questo incontro, che costituisce
il passato, l’oggi e il sempre della nostra appartenenza a Cristo.
Quella Notte Santa, infatti, non smette di essere il nostro
giorno e la nostra luce!
Non possiamo che partire da quella grotta per rischiarare,
passo dopo passo, il nostro cammino sempre più incerto e
disorientato, che ci rende viandanti sperduti, anche nei territori
della nostra esistenza.
Dalla grotta di Betlemme emergono un invito e una speranza,
un dono e una consegna all’umanità in generale e alla Chiesa in
particolare: un invito a superare lo smarrimento che colpisce tante anime. Andiamo alla ricerca di noi stessi, perché sappiamo,
quasi tocchiamo con mano, che è andata perduta una parte di
noi, forse la più preziosa. Essa ci lega alla Notte Santa come
nostalgia perenne, ma anche, come il riverbero di un’alterità, a
un messaggio, che sentiamo sempre più esigente solo a causa
del declino delle nostre forze. Mentre avvertiamo la forza delle
nostre contraddizioni.
Non è un mistero, che nella società delle moltitudini, il
rischio è quello di rimanere soli, così come nella società della
comunicazione, il pericolo è l’incomunicabilità. E l’opulenza
non è solo il contrario, bensì lo sfregio alla povertà; e della
globalizzazione continuiamo a vedere e a subire gli squilibri.
Anche i soprusi e le ingiustizie, a volte, cambiano pelle per
perpetuare se stessi in forme nuove.
Non occorre l’aggravante di una crisi economica – che c’è e
pesa sempre di più sui poveri e sui meno garantiti – per toccare le
soglie dello scoramento; non fosse, però, che per quel Bambino
con cui fare i conti e per quella Notte Santa, che non potrà mai uscire di scena dalle speranze dell’umanità, anche la più scossa
e tormentata!
Il Natale viene a confermarci che, questa speranza, non va
confusa con quel sentimento, che umanamente ci aiuta a tirare
avanti. No! Questa speranza converge anch’essa verso l’incontro
con una Persona. Anzi, questa speranza è la Persona. È il Cristo
salvatore e redentore, entrato nella nostra storia per prendervi
dimora sino alla fine del tempo.
Il Natale è all’origine del mistero di questa alleanza, che non
smette di riguardarci, anche quando cerchiamo di rinnegarla, e
di voltare le spalle a un patto d’amore sancito nel sacrificio della
Croce.
Non parla d’altro il Natale, che di un amore senza limiti per
l’uomo.
È questa la dimensione che deve interessarci, e la sola che
può qualificare l’impegno della nostra Chiesa, particolarmente
nel tempo di Avvento, ma anche nella quotidianità e nel corso del cammino pastorale ordinario.
Siamo ormai nel pieno di quell’orizzonte dell’Anno della
Fede, che Papa Benedetto ha indetto nel segno di un rinnovato
annuncio del Vangelo, specie nei Paesi di antica evangelizzazione.
È un evento, che riguarda da vicino ognuno di noi e la nostra
vita di comunità. Ci è chiesto di essere missionari nella nostra
stessa terra e di annunciare il Vangelo come una novità perenne.
Ad annunciarlo, o ri-annunciarlo anche nelle nostre case dove
ha avuto per lungo tempo una naturale dimora. La Parola di Dio
è ancora viva, ma risuona oggi in mezzo ai rumori e al fragore
di una società, che trova sempre maggiori difficoltà a guardare
dentro se stessa.
Riviviamo in questo stesso tempo la suggestione, che
viene dal più grande avvenimento ecclesiale degli ultimi secoli:
il Concilio Vaticano II. Non può essere solo un ricordo o una
semplice commemorazione quell’evento, che ha rinnovato la
nostra storia religiosa e ha preparato la Chiesa ad affrontare una
modernità così difficile e complessa. Sull’onda del dopo-Concilio, anche nella nostra terra, possiamo oggi vedere il volto nuovo di
una comunità più matura e consapevole, che vive i valori della
fede, non come il lascito trasmesso da una generazione all’altra.
Nel recente Sinodo dei Vescovi sulla Nuova Evangelizzazione, non
a caso, uno dei temi centrali ha riguardato l’Iniziazione Cristiana
e i suoi Sacramenti, a cominciare dal Battesimo. Siamo chiamati
a essere, ma anche a diventare, giorno dopo giorno, cristiani
pienamente inseriti nella sequela del Redentore.
Dobbiamo avere gli occhi e il cuore rivolti al mistero della
Grotta, per guardare meglio e più a fondo nella realtà della
nostra gente. Solo così non potranno sfuggire al nostro sguardo
le sofferenze dei nostri malati, le angustie e le privazioni di chi è
nel bisogno, le preoccupazioni, e talvolta il tormento di famiglie,
che non vedono prospettive di lavoro per i propri figli.
Il lavoro. Ecco un tema a tante facce anche per il nostro
Natale. Lavoro vuol dire dignità e benessere per le persone, e
sviluppo e progresso civile per la comunità. Ma lavoro, oggi, è –
deve essere – la parola chiave per aprire le porte e i cuori a una solidarietà, che non va intesa soltanto come una misura contro
la crisi.
Solidarietà è – deve essere – la traduzione sociale di tutto
ciò, che ha per radice il comandamento dell’amore, venuto alla
luce nella Persona di Cristo, nella Notte Santa di Betlemme.
Se il lavoro è un diritto sancito dalla Costituzione, la
solidarietà è un dovere stabilito da una legge di diversa natura,
che riguarda ancora più intimamente l’uomo.
La solidarietà riguarda, in primo luogo, la nostra Chiesa
locale. Non possiamo e non vogliamo girare lo sguardo altrove:
non saremmo Chiesa! Le nostre parole, anche quelle pronunciate
dall’altare, non avrebbero senso.
Questo tipo di crisi interpella, perciò, a fondo la nostra
Chiesa. Nessuno più di essa conosce e vive la realtà della sua
gente: le nostre parrocchie, le comunità di ogni tipo, i nostri
organismi assistenziali sono come una grande rete connessa
ai problemi e alle esigenze di un territorio tanto vasto, quanto gravato da situazioni di difficoltà e di bisogno.
La crisi non la leggiamo sui giornali, né – per guardarla in
faccia – abbiamo bisogno di vederla sui teleschermi. Viviamo in
pieno la vita del Capoluogo e degli altri centri, grandi e piccoli,
della nostra Diocesi. Desideriamo con tutte le nostre migliori
energie, essere solidali e aperti alla speranza, perché la luce
del Divino Bambino diradi le tenebre dello sconforto e della
rassegnazione.
Il messaggio che, anche quest’anno, ho voluto rivolgere
innanzitutto alla Chiesa, che ho la gioia di guidare, è un modo
per far sentire una vicinanza che, nel tempo del Natale, diventa
naturalmente più intensa. La storia, la cultura, le buone tradizioni
di una terra bella e generosa come la nostra: tutto converge verso
un passaggio importante del nostro essere Chiesa.
È questo il mio augurio, nel segno di un legame, che diventa
ogni giorno più saldo.
Sono Pastore di una Chiesa bella e viva e sento, accanto a me, la forza di un clero, che ama la sua comunità e che è sempre più
disposto a spendersi per essa. Un clero sempre innamorato della
sua vocazione. Avverto anche la presenza intelligente e discreta
di un laicato pienamente inserito nella pastorale della diocesi,
arricchita dal prezioso contributo di movimenti e associazioni,
che completano la grande famiglia della Chiesa diocesana,
impegnata nell’annuncio e nella testimonianza del Vangelo della
speranza.
A tutti e a ciascuno auguro Buon Natale! Che sia il Natale di
Cristo, che nasce ancora e sempre nei nostri cuori, nel grembo
della Madre Chiesa, sotto lo sguardo amorevole di Maria!.
+ S.E. MONS.LUIGI MORETTI, ARCIVESCOVO DELL’ARCIDIOCESI DI SALERNO-CAMPAGNA-ACERNO.
 
 

Antonio De Pascale

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